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I Corticosteroidi  
I Corticosteroidi mirano a prevenire il danno anatomico e funzionale attribuibile alle ricadute e quindi a prevenire la disabilità a queste legata.
Il loro ben noto meccanismo d'azione si basa sulla inibizione della sintesi delle citochine proinfiammatorie quali l'interleuchina 1 (IL1), l'interleuchina 2 (IL2), il TNF-¦Á ed enzimi proinfiammatori quali la collagenasi, l'elastasi e l'attivatore del plasminogeno.
Studi clinici effettuati su pazienti adulti indicano che l'uso dei corticosteroidi riduce la durata delle ricadute e pertanto la morbilità a breve termine (Milligan, 1987).
I corticosterodi non sembrano avere alcun effetto, invece, sul miglioramento dei deficit permanenti, probabilmente a causa del ritardo nella somministrazione del farmaco.
Infatti, sembra che la produzione di ossido nitrico, una delle principali sostanze tossiche prodotte dalle cellule mononucleate periferiche nell'ambito della reazione infiammatoria, raggiunga la massima concentrazione entro 72 ore dalla comparsa dei sintomi durante un episodio RR di SM, pertanto è improbabile che la somministrazione dei corticosteroidi dopo tale periodo protegga i neuroni dal danno infiammatorio acuto.

La tempestività nell'assunzione di cortisonici può determinare un recupero funzionale maggiore.
Intervenire subito è molto importante soprattutto nelle prime fasi della malattia quando il danno funzionale è determinato in maniera rilevante dalla componente infiammatoria.
Sembra che i corticosteroidi giochino un ruolo importante anche nella prevenzione del "processo degenerativo assonale"


Stategie di lotta

Prof. Angelo Massaro

La prima e più importante strategia di lotta è impedire di dover arrivare a cimentarsi con una o più placche sclerotizzate
.
Un accurato uso dei corticosteroidi porta ad un più rapido e più completo miglioramento dei sintomi dovuti all'attacco.
Questo dato clinico corrisponde all'azione che i corticosteroidi hanno a livello della placca:
riduzione dell'infiammazione e dell'edema con riparazione della barriera ematoencefalica (BEE), promozione dei fattori favorenti la rimielinizzazione, inibizione dei fattori favorenti la sclerosi astrocitaria.
Per intenderci, è come se in una gara ciclistica avessimo uno strumento in grado di frenare le bici di alcuni e di dare una spinta a quelle degli altri al fine di far vincere i corridori che ci sono graditi (in questo caso gli oligodendrociti e le loro cellule progenitrici).
Ecco quindi un primo intervento terapeutico, tempestivo, capace di influenzare il campo nel quale la lotta per la rimielinizzazione ha luogo: questo intervento è ben più semplice ed efficace di qualunque altro dovesse essere posto in atto dopo la sconfitta, parziale o totale che essa sia.
Per circa due decenni le mie personali ricerche sono state focalizzate proprio sullo studio di questi aspetti dei corticosteroidi e di alcune proteine di specifica e notevole rilevanza nel SNC.
In un gran numero di casi queste strategie sono vincenti e non è necessario fare alcunchè d'altro.



L’ora del cortisone
Per ridurre le complicanze e aumentare i benefici, il cortisone va assunto a orari precisi


C’è un’ora giusta per tutto, anche per prendere i farmaci cortisonici. Lo sottolinea una ricerca pubblicata su Autoimmunity Reviews da Maurizio Cutolo e i suoi collaboratori dell’Unità di Reumatologia del Dipartimento di Medicina Interna dell’università di Genova: se si vuole ottenere il massimo effetto con il minimo rischio, occorre rispettare tempi precisi.

NOTTE – Non è un mistero per nessuno: i cortisonici hanno molti effetti positivi, ma espongono anche a un bel po’ di rischi collaterali. Possono ad esempio facilitare la comparsa di diabete, osteoporosi o, inducendo un indebolimento del sistema immunitario, aumentare la suscettibilità a infezioni virali, batteriche e fungine. Si utilizzano anche perché nelle patologie in cui c’è un coinvolgimento infiammatorio o del sistema immunitario, come nel caso di molte malattie reumatiche, i livelli di cortisolo prodotto dal paziente non sono sufficienti: in sostanza la terapia mira a compensare questo deficit, fornendo il minimo sufficiente a ripristinare valori adeguati. «La risposta immune e infiammatoria dell’organismo è attiva di notte: è alle tre di notte, ad esempio, che c’è la fase di secrezione del TNF e del cortisolo», spiega Maurizio Cutolo.

ORMONE – Di conseguenza, per avere il massimo effetto utilizzando la dose più bassa possibile di cortisonici, i farmaci devono arrivare in circolo intorno a quell’ora. «Oggi esistono formulazioni che si possono assumere alle 10 di sera con il farmaco che si libera proprio alle tre di notte: in questo modo riusciamo a massimizzare l’effetto positivo del cortisone riducendo la probabilità di effetti collaterali, perché lo andiamo a fornire all’organismo proprio quando ce n’è bisogno. Così non si rischia un iperdosaggio, perché si va a rimpiazzare ciò che il paziente non ha a sufficienza», chiarisce Cutolo. Non dovremmo mai dimenticare, infatti, che questi medicinali sono anche e soprattutto degli ormoni: «L’errore di molti con gli steroidi e ilcortisone è considerarli alla stregua di antinfiammatori, tutt’al più immunosoppressori. Non si pensa a loro come a medicinali con un effetto sul sistema endocrino», osserva l’esperto. «Non è affatto così, perché la somministrazione del cortisone, un ormone a tutti gli effetti, altera la produzione endogena di cortisolo. Gli effetti collaterali derivano da questa “sovrapposizione” indebita con il metabolismo normale degli steroidi, che come tutti i processi organici ha un suo ritmo circadiano: se intervengo al momento sbagliato è più probabile che faccia danni e faccia sballare il sistema. Il modo per capirlo forse è portare l’esempio di un altro ormone ben noto, l’insulina: chi mai si sognerebbe di farla assumere ai pazienti in un orario qualsiasi della giornata, in una dose standard uguale per tutti? Lo stesso vale per il cortisone: individuare l’ora e la dose giusta e rispettarle è altrettanto fondamentale», conclude Cutolo.
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