La Sclerosi Multipla informazioni, approfondimenti e news dalla ricerca
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Users Online: 15 Martedì, 19 Marzo 2024 07:33:47
La Sclerosi Multipla informazioni, approfondimenti e news dalla ricerca

Gli interferoni  
L'IFN è un complesso sistema biologico costituito da un gruppo di molecole proteiche, che vengono sintetizzate dalle cellule in risposta a infezioni virali o a induttori biologici o sintetici.
Sono stati finora individuati tre tipi di interferoni:

IFN-alfa L' interferone-alfa comprende in realtà una famiglia di circa 20 proteine secrete principalmente dai leucociti (linfociti B e linfociti T) ed è detto per questo "interferone leucocitario";

IFN-beta, rappresentato da 2-5 sottotipi, prodotto dai fibroblasti del tessuto connettivo in risposta a stimoli virali o a polinucleotidi sintetici; L' interferone-ß è detto anche "interferone fibroblastico".

IFN-gamma (unico), è secreto dai linfociti T e cellule Natural Killer (NK) in risposta all'Interluchina-12 e all'Interluchina-18.

Sulla base di analogie strutturali e di proprietà farmacocinetiche comuni, gli IFN-alfa e beta sono stati accomunati e vengono anche chiamati IFN di tipo I, mentre l'IFN-gamma è anche definito di tipo II.
Gli IFN sono dotati di proprietà antivirale, antiproliferativa ed immunoregolatrice
.
L'attività antivirale è specie-specifica, ad ampio spettro, e non si esplica direttamente sui virus, bensì attraverso l'induzione nelle cellule infettate di una condizione di resistenza a quei patogeni attraverso vari meccanismi, molti dei quali non ancora chiariti.
La loro funzione specifica è quella di:
    • inibire la replicazione di virus all'interno delle cellule infette;

    • impedire la diffusione virale ad altre cellule

    • rafforzare l'attività delle cellule preposte alle difese immunitarie, come i linfociti T e i macrofagi;

    • inibire la crescita di alcune cellule tumorali.
Gli interferoni agiscono in questo modo:
    • si legano alla membrana delle cellule e ne stimolano la produzione di enzimi antivirali

    • quando un virus attacca una cellula attivata dall'interferone, non riesce a moltiplicarsi a causa degli enzimi antivirali

    • si verifica quindi un arresto o un'attenuazione dell'infezione.
Uno dei meccanismi conosciuti è quello che, una volta avvenuto il legame di quelle molocole ai recettori specifici della membrana cellulare, blocca la sintesi delle proteine necessarie alla replicazione virale.
Quando la cellula iniziale muore a causa del virus RNA citolitico, migliaia di questi virus vengono rilasciati verso le cellule circostanti. Tuttavia, queste cellule hanno già ricevuto l'interferone che le ha allertate riguardo la minaccia esterna.
Le cellule iniziano a produrre grandi quantità di una proteina nota come PKR (Protein kinase-R).
Se un virus infetta una cellula che è stata pre-allarmata dall'interferone, questa si trova pronta a rispondere all'attacco. Questo impedisce la replicazione del virus, ma inibisce anche le normali funzioni del ribosoma della cellula, uccidendoli entrambe. Tutto l'RNA all'interno della cellula viene degradato.
Ai suddetti meccanismi si debbono verosimilmente anche gli effetti antiproliferativi degli IFN sulle cellule tumorali.
Come già detto, gli IFN sono inoltre dotati di una potente azione regolatrice della risposta immune, che si esplica attraverso l'aumento del potenziale citotossico delle cellule NK, la modulazione della risposta anticorpale e l'incremento dell'espressione degli antigeni virali sulla superficie cellulare. Quest'ultimo evento espone la cellula infetta all'azione dei linfociti T citotossici.
Gli IFN alfa e beta, i più utilizzati come antivirali perché dimostratisi più attivi dell'IFN di tipo II, si somministrano per via endovenosa, o per via intramuscolare o sottocutanea; tra queste due ultime vie non esistono significative differenze sotto il profilo farmacocinetico.
L'impiego degli IFN non è esente da effetti collaterali, quando essi siano utilizzati per via sistemica; tali effetti sono dose-correlati e generalmente reversibili dopo la sospensione del trattamento.


L’Interferone beta-1b esacerba la Sclerosi Multipla con demielinizzazione ottico-spinale

E’ stato valutato l’effetto dell’Interferone beta-1b (Betaseron) nella Sclerosi Multipla con grave demielinizzazione del nervo ottico e a livello del midollo spinale.
I Ricercatori hanno esaminato la relazione tra l’outcome (risultato) del trattamento con Interferone beta-1b e le caratteristiche genetiche e cliniche di 3 tipi di malattie demielinizzanti del sistema nervoso centrale, tra cui la neuromielite ottica (NMO), la Sclerosi Multipla (MS) e la sclerosi multipla con grave demielinizzazione ottico-spinale.
I pazienti giapponesi con Sclerosi Multipla sono spesso portatori dell’allele HLA DPB1*0501, che è associato a neuromielite ottica.
La Sclerosi Multipla con DPB1*0501 è risultata associata a grave demielinizzazione ottico-spinale, rappresentata da lesione del midollo spinale, cecità e pleocitosi del liquido cerebrospinale.
Il trattamento con Interferone beta-1b non ha avuto successo in questi pazienti.
Secondo gli Autori, l’Interferone beta-1b non dovrebbe essere somministrato a pazienti con demielinizzazione e con caratteristiche genetiche e cliniche che mimano la neuromielite ottica come l’allele HLA DPB1*0501, lesione del midollo spinale, cecità e pleocitosi del liquido cerebrospinale, anche se questi presentano lesioni cerebrali sintomatiche come quelle tipicamente viste nella Sclerosi Multipla. La diagnosi di questi pazienti dovrebbe essere neuromielite ottica.

Warabi Y et al, J Neurol Sci 2006; Epub ahead of print


Sclerosi multipla: Interferone–beta e rischio di suicidio

L’Interferone beta (Interferone beta-1a: Avonex, Rebif; Interferone beta-1b: Betaseron) trova indicazione nel trattamento della Sclerosi Multipla remittente-recidivante.
L’Interferone beta non dovrebbe essere utilizzato nei pazienti con anamnesi di depressione grave o tendenze suicidarie, nei soggetti con epilessia non controllata in modo completo o alterazione della funzionalità epatica non controllata.
E’ consigliata cautela nei pazienti con anamnesi per queste condizioni o con patologie cardiache o mielodepressione.
I più comuni effetti indesiderati associati all’impiego dell’Interferone-beta comprendono: irritazione nella sede di iniezione (infiammazione, ipersensibilità, necrosi), sintomi simil-influenzali (febbre, brividi, mialgia o malessere).
Nausea e vomito si presentano in modo occasionale.
Sono state osservate reazioni da ipersensibilità, inclusa anafilassi ed orticaria, disturbi ematologici, disturbi mestruali, alterazioni dell’umore e della personalità, tentativi di suicidio, stato confusionale e convulsioni, alopecia, epatiti ed alterazioni della funzionalità tiroidea.

Fonte: British National Formulary

Sia l'interferone beta 1b sia l'interferone beta 1a riducono il numero delle riacutizzazioni.

La prova emerge dai risultati di diversi studi multicentrici americani ed europei, tutti peraltro finanziati dalle industrie produttrici dei farmaci.

Una ricerca americana, avviata nel 1993, a cui parteciparono 372 malati con decorso relapsing remitting ha dimostrato una diminuzione di almeno un terzo delle crisi nei pazienti trattati con interferone beta 1b alla dose di 8 milioni UI sottocute a giorni alterni rispetto a quelli che avevano ricevuto il placebo.

I pazienti sono stati seguiti per circa quattro anni e il farmaco è rimasto efficace per tutta la durata dello studio, benché in modo più evidente durante il primo anno di somministrazione.

Il grado di disabilità, invece, non è variato in modo significativo.
Una modesta riduzione dell'invalidità è stata invece ottenuta, nel 1996, nella stessa forma clinica, utilizzando l'interferone beta 1a alla dose di 6 milioni UI la settimana intramuscolo. Dopo due anni di trattamento si è accertato un peggioramento del quadro clinico, misurato come incremento di almeno un punto nella scala di Kurtzke per la quantificazione dell'invalidità motoria, nel 22 per cento circa di pazienti trattati e nel 35 del gruppo placebo. La ricerca ha confermato anche che il farmaco riduce il numero delle fasi acute. Due studi successivi hanno invece impiegato l'interferone beta 1a a dosaggi più elevati. Il primo ha utilizzato il farmaco a dosi pari a 3 milioni UI tre volte la settimana sottocute in un gruppo e a 9 milioni UI tre volte la settimana in un altro, in assenza controllo.

I risultati, pubblicati finora solo sotto forma di abstract, mostrano una riduzione del numero delle fasi acute più marcata nei pazienti trattati con il dosaggio maggiore, mentre in entrambi i gruppi non viene segnalato nessun effetto significativo sul grado di disabilità.

La seconda ricerca comprendeva anche un gruppo placebo, gli altri due essendo trattati rispettivamente con interferone 6 milioni UI tre volte la settimana e 12 milioni UI tre volte la settimana sottocute.

Ancora una volta è stato possibile osservare la riduzione delle fasi acute, solo lievemente accentuata nel gruppo che ha assunto il dosaggio più elevato. Il peggioramento del quadro neurologico, infine, è sopraggiunto più tardi nei pazienti curati con l'interferone.

Un solo studio clinico si è proposto di valutare l'efficacia dell'interferone beta nei pazienti con decorso progressivo secondario. A più di 700 pazienti è stato prescritto o interferone beta 1b alla dose di 8 milioni UI a giorni alterni sottocute oppure un placebo: il gruppo trattato peggiora meno del controllo.

AGISCONO SULLE PLACCHE

L'uso clinico degli interferoni è stato però approvato sia negli Stati Uniti sia in Europa non solo sulla base di dati clinici.

Tutte le ricerche hanno valutato anche l'eventuale effetto anatomico del trattamento, e la sua entità, mediante l'esecuzione di risonanze magnetiche seriate (RM) con gadolinio.

Nei pazienti trattati con interferone è minore l'estensione delle placche attive, cioè delle aree di alterato segnale che assumono il mezzo di contrasto. Apparentemente questo dato dimostrerebbe l'utilità certa degli interferoni, ma il valore clinico di quanto osservato non è stato ancora chiarito.

Nella Sclerosi Multipla, come è noto non esiste una precisa correlazione tra danno anatomico e sintomatologia: placche localizzate in aree silenti - per esempio nella sostanza bianca periventricolare - possono non arrecare disturbi, mentre lesioni situate in punti chiave per il controllo del movimento - per esempio una placca nel midollo spinale o nel cervelletto - possono comportare un deficit neurologico grave.

Fin quando nuovi studi non avranno definito la correlazione tra danno anatomico oggettivo e grado di invalidità, ogni decisione terapeutica dovrà basarsi solo su quanto dimostrato con certezza. Si sa, per esempio, che il trattamento con interferone può essere vantaggioso nei casi in cui sia nota la tendenza alla ricaduta, poiché è probabile che il numero delle fasi attive della malattia si riduca di circa un terzo.

Lo schema di trattamento più efficace non è stato però ancora identificato e attualmente non è nemmeno possibile prevedere se la riduzione di recidive si traduca a lungo termine in una protezione dai danni neurologici.

Nella pratica clinica la questione è ancora più complessa. Gli effetti collaterali del trattamento sono: una sindrome parainfluenzale, reazioni cutanee nel sito di iniezione e depressione.

Ciò che preoccupa maggiormente è la reazione immunologica che interessa oltre il 20 per cento dei malati cui viene somministrato il farmaco.

In particolare, la produzione di anticorpi anti interferone, capaci di neutralizzarne l'attività, è più cospicua proprio tra coloro che sono affetti da forme aggressive di Sclerosi Multipla.

Link:
Come curare

Notizie Farmacovigilanza - 2004

INTERFERONE BETA-1a Avonex®- DOMPÈ BIOTEC Rebif®- SERONO PHARMA Classe A nota 65 INTERFERONE BETA-1b Betaferon®- FARMADES Classe A nota 65.

Evento: insufficienza epatica.
Mediante una Dear Healthcare Professional Letter del 4 dicembre 2003, concordata con le ditte produttrici, l’Health Canada rende noto che gli interferoni beta (beta-1a e beta-1b), utilizzati nel trattamento della Sclerosi Multipla, sono stati associati a 3 casi di insufficienza epatica che hanno richiesto il trapianto di fegato. Secondo tale nota informativa, gravi danni epatici (epatiti autoimmuni, epatiti ed insufficienza epatica) causati dagli interferoni beta sono rari (tra 1/1.000 e 1/10.000 pazienti in un anno) e con una latenza variabile (maggiore rischio di epatossicità durante i primi 6 mesi di terapia). Viene, pertanto, raccomandato un attento monitoraggio della funzionalità epatica da effettuarsi ogni mese durante i primi 6 mesi di trattamento e, in seguito, semestralmente. I pazienti esposti al farmaco devono essere correttamente informati relativamente ai segni e sintomi predittivi di danno epatico e cioè ittero, prurito diffuso, nausea e vomito, dolore addominale. Nel caso in cui i livelli di alanina-aminotransferasi (ALT) subiscano un aumento di 5 volte i valori normali, la somministrazione di interferone beta deve essere interrotta o le dosi ridotte. Una metanalisi di 6 RCT, condotti su un totale di 2.819 soggetti, trattati con interferone beta 1a, ha mostrato che nel 59% dei pazienti randomizzati al farmaco si è verificato un innalzamento dei valori di ALT (asintomatico e dose correlato) durante i primi 6 mesi di terapia; tale percentuale aumentava al 64% a 12 mesi e al 67% a 24 mesi.

Scrip Daily News Alert 2003; 2913: 26.- Health Canada-Warnings/Advisories: Important safety information about the risk of liver injury in patients taking beta-interferon therapy in www.hc-sc.gc.ca- Francis GS et al. Hepatic reactions during treatment of multiple sclerosis with interferon-beta-1a: incidence and clinical significance. Drug Saf 2003; 26: 815-27 (Abstract).

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